Elaborare la fine di una relazione

Incredulità, non può essere accaduto proprio a noi.

Di fronte alla fine della relazione c’è un rifiuto di prendere atto del fatto, il tempo si solidifica e l’altro è presente perennemente nella sua assenza, la vita non ha più attrattiva, è invasa dalla presenza del fantasma della persona perduta, rendendo impossibile ricominciare, ritrovare la spinta vitale e incontrare di nuovo il proprio desiderio di vita.

Il mondo si svuota, non c’è più piacere, nulla ci attrae. La perdita ci congela nel passato, ci ripieghiamo su noi stessi alla ricerca di un senso, incontriamo le nostre colpe attratti nel vortice di un rimuginio senza fine e si insinua la paura di un futuro di solitudine, privo di senso e di attrattiva. Scompaiono le certezze dei progetti condivisi, sembra attenderci un nulla privo di significato. Paura, rabbia, solitudine.

Un volto, un corpo, le sue mani, la voce che ci facevano sentire in qualche modo speciali, unici scompaiono. Silenzio, rabbia, autoaccuse, colpa, vergogna, paura. Non riuscire ad accettare che sia finita, domani mi amerà di nuovo, e invece no, non vuole più esserci.

Pensieri intrusivi invadono la mente, il dolore si fa più lacerante e scuote tutto togliendo valore, non siamo più nulla, tutto in noi è in qualche modo sbagliato perché non siamo riusciti a trattenere l’altro.

Non c’è più casa, luogo sicuro, non riusciamo a immaginarci senza l’altro, la nostra mente disegna la tavola squallidamente apparecchiata per uno, silenzio.

Per ricominciare a vivere il dolore va attraversato, vissuto, nel ricordo, nelle lacrime, nella nostalgia. Sperimentare l’assenza, la distanza, la mancanza del corpo, della parola dell’altro è un lavoro difficile e tortuoso ma è necessario per riprendere il cammino, per ricominciare a intravedere un futuro possibile.

L’altro non è più qui, è una perdita irreversibile che scava dentro di noi trovando un dolore insopportabile, ineludibile. E’ un fiume da attraversare per accedere all’altra sponda dove ci attende l’ignoto ma anche la rinascita, la ricostruzione del mondo senza l’altro.

La risposta maniacale non vive il dolore della perdita e si precipita a sostituire l’altro per evitare il dolore ineludibile della perdita, non incontrando la pausa necessaria del lutto. C’è allora iperattivazione e ricerca spasmodica di un oggetto sostitutivo, non c’è crisi, non c’è il dolore, che va sentito per essere superato, c’è l’illusione di poter non soffrire nemmeno per un attimo.

Un’altra forma di mancata elaborazione della perdita è la forma paranoide in cui il partner diventa il nemico, colui al quale attribuire tutte le colpe, che ci consente di non provare dolore che è trasformato in rabbia orientata verso il partner.

C’è un tempo necessario per separarci dall’altro, un tempo per reindividuarci e consentirci di tornare alla vita. Ci vogliono tempo e dolore, serve attraversare la memoria dell’altro in sua assenza.

Poi a un certo punto, quasi all’improvviso, succede, per ognuno con tempi diversi, dopo il dolore ci ritroviamo sull’altra sponda e senza intenzione possiamo riprendere il cammino e torna la felicità di essere vivi, torna un po’ di leggerezza e intravediamo la possibilità di farcela da soli.

 

Dr Marina Ugolini